
Da qualcosa grande un decimilionesimo di millimetro, capace di insinuarsi in ogni interstizio della nostra esistenza, puoi difenderti adottando tutti gli accorgimenti suggeriti dalla comunità scientifica: distanziamento, mascherina, gel sempre a portata di mano. Puoi farlo con un comportamento prudente e responsabile che annulli gran parte della nostra vita sociale: niente bar, ristorante, feste di compleanno, cinema, discoteca, stadio. Ma alla fine il rischio zero contro il microscopico nemico non esiste. A meno che non si decida di consegnarsi agli arresti domiciliari dopo aver stipato in cucina provviste alimentari per 6 mesi, o fin quando non avrà bussato alla porta il vaccino anti Sars-Cov-2, sigla sinistra di laboratorio dietro cui si nasconde la minaccia del secolo. Ma per chi è costretto ad accettare un minimo di rischio, a iniziare da milioni di lavoratori, il resto lo fa il cosiddetto fattore C. In questi mesi mi è capitato di vedere gente, che la mascherina non la toglieva neanche di notte, finire a fare le parole crociate in un reparto Covid. E altri che hanno continuato a sfidare disinvoltamente il virus, senza adottare alcuna misura di protezione individuale, scoppiare di salute. Un po’ quello che si diceva una volta dei fumatori incalliti prima che qualcuno accertasse che la nicotina è la prima causa del cancro ai polmoni: “Mio nonno fumava due pacchetti di sigarette al giorno e ha campato fino a 98 anni”. Già, anche mio padre me lo ripeteva sempre: “Se mio nonno non moriva campava”. (s.o.)